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Licenziamento in caso di superamento del “comporto”

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Le sentenze degli ultimi tempi, hanno confermato come la Corte di Cassazione non riesca a fare chiarezza in merito alla tempestività del recesso da parte del datore di lavoro, una volta superati i limiti di assenza per malattia da parte del dipendente, per conservare il proprio posto di lavoro, ovvero il cosiddetto “comporto” stabilito dalla contrattazione collettiva.

Le sentenze

Sono tre le sentenze che in meno di un anno hanno deciso in modo molto diverso su altrettante analoghe situazioni. La prima è quella del 31 luglio 2015 n. 16267, la quale ha giudicato tempestivo il licenziamento intimato a un lavoratore il cui limite di comporto era stato superato a fine aprile. Il lavoratore era rientrato in servizio i primi di giugno ed è stato sollevato dall’incarico a metà agosto in seguito a un ulteriore periodo di malattia. In questo caso i mesi trascorsi dalla scadenza del comporto al licenziamento, sono stati considerati legittimi dalla Corte, in quanto bisognava verificare la compatibilità degli interessi del dipendente con quelli aziendali.

Con la sentenza n. 20722 del 14 ottobre 2015 invece, la Cassazione ha giudicato tardivo e quindi illegittimo, il licenziamento di un lavoratore tornato a lavoro dopo la scadenza del comporto verso la fine di luglio, in modo da poter usufruire di un doppio periodo di ferie intervallato da quindici giorni di malattia. Il lavoratore è stato licenziato a metà settembre, data considerata tardiva dalla corte considerando il mese  e mezzo trascorso dalla ripresa del servizio. Questo perché il datore non si è opposto alla ripresa dell’attività dopo il superamento del periodo di comporto, dimostrando così di non volersi avvalere del suo potere di recesso.

Infine con la sentenza n.6697 del 7 aprile 2016 è stata respinta l’impugnazione del licenziamento di una lavoratrice il cui periodo di comporto è stato superato alla fine di dicembre e che aveva usufruito di un periodo di aspettativa fino alla fine di agosto dell’ anno successivo. È stata licenziata i primi di settembre per non essere tornata a lavoro e il licenziamento è stato considerato legittimo in quanto, pur essendo trascorsi nove mesi dal superamento del periodo di comporto, il recesso è stato esercitato pochi giorni dopo la fine del periodo di aspettativa.

Conclusioni

Da queste sentenze si può notare facilmente come ancora sia complicata la disciplina in termini di tempestività di messa in atto del diritto di recesso da parte del datore di lavoro. Essendo un argomento delicato va affrontato con molta prudenza considerando le conseguenze di una dichiarata illegittimità del licenziamento. Essa può comportare per i dipendenti assunti prima del 7 marzo 2015, e quindi non soggetti al regime del contratto a tutele crescenti di cui al DLgs. 23/2015, la reintegrazione nel posto di lavoro e l’obbligo per il datore di pagare le retribuzioni che il dipendente avrebbe percepito in quel periodo fino ad un massimo di dodici mensilità come previsto dall’art 18 comma 7 dello statuto dei lavoratori.

Dott. Marco Palano 12/04/2016

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