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Il Nuovo regime forfettario 2019: conviene o no?

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Uno degli argomenti sicuramente più caldi di questo 2019, per tutti i commercialisti d’Italia, oltre ovviamente alla fatturazione elettronica, è il calcolo della convenienza dell’applicazione del regime forfettario o meno per i propri clienti.

Con l’innalzamento del limite dei ricavi a 65.000 €, è aumentata nettamente la platea degli aventi diritto e, se si considera anche l’esonero dall’obbligo di emissione di fatture in formato elettronico, milioni di contribuenti stanno valutando se passare o meno al regime agevolato.

Ricordiamo brevemente in cosa consiste.

Cos’è il regime forfettario

Il regime forfettario è un regime di vantaggio nato con la legge 190 del 2014 che permette di determinare il reddito imponibile in maniera forfettaria e di applicare un’imposta sostitutiva del 15% (5% per i primi 5 anni di attività).

Il vantaggio è ovviamente un risparmio d’imposta, oltre che contributivo visto che prevede anche, se richiesta, una riduzione dei contributi previdenziali del 35%. Tale domanda va però fatta entro il 28 febbraio di ogni anno oppure non appena possibile in caso di apertura della partita iva oltre quella data.

Se la richiesta di sgravio contributivo era stata richiesta l’anno precedente invece, non bisogna fare niente in quanto la riduzione sarà automatica anche per l’anno in corso.

Il reddito imponibile

Nel regime ordinario

Nel regime ordinario il reddito imponibile è dato dalla differenza tra ricavi e costi opportunamente rettificati in base alla normativa fiscale che determina le percentuali forfettarie di deduzione.

A questi si levano gli oneri contributivi pagati nell’esercizio e si ottiene il reddito imponibile, sul quale si andranno poi ad applicare le aliquote di tassazione a scaglioni:

  • Il primo scaglione prevede una tassazione del 23% per redditi fino a 15.000 €;
  • Il secondo una tassazione del 27% per la parte da 15.001 € a 28.000 €;
  • Il terzo invece prevede un’aliquota del 38% per redditi tra 28.001 € e 55.000 €;
  • Il quarto 41% per redditi tra 55.001 € e 75.000 €;
  • Infine l’ultimo scaglione prevede un’imposta del 43% per la parte oltre i 75.000 €.

A questi vanno aggiunte le addizionali comunali e regionali ed eventualmente l’Irap, se si svolge la propria attività dotandosi di una vera e propria organizzazione.

Nel regime forfettario

Nel regime forfettario, come detto in precedenza, c’è un’imposta sostitutiva del 15% o del 5% a seconda che si tratti di nuova attività o meno, che va ad assorbire tutte le altre imposte.

L’unica cosa che non comprende sono i contributi previdenziali.

Come si calcola la convenienza

Il regime forfettario è sicuramente conveniente per chi ha pochi o zero costi. Questo perché i costi non si possono dedurre analiticamente. La deduzione avviene in maniera forfettaria con aliquote che variano a seconda del tipo di attività svolta, a differenza della soglia dei ricavi di 65.000 che è uguale per tutti a differenza del 2018 in cui variava da attività ad attività come i coefficienti di deduzione. Per i professionisti ad esempio è pari al 78%. Cosa vuol dire?

Vuol dire che se ricavi 50.000 €, puoi dedurti forfettariamente 11.000 € (il 22%).

Se quindi pensi di avere costi inferiori, uguali, o di poco superiori, è chiaramente conveniente applicare il regime forfettario.

Il discorso cambia se è un tipo di attività che prevede di sostenere grandi costi per conseguire i ricavi, come ad esempio 35.000 €. In quel caso non conviene aderire al regime forfettario.

Quali costi ti puoi dedurre nel regime forfettario?

La risposta è semplice: nessuno. L’unica spese che può abbassare il reddito imponibile è quella relativa agli oneri contributivi sostenuti nell’anno. Non ci si può dedurre neanche le spese mediche o quelle per ristrutturazioni per cui era riconosciuto un credito d’imposta. Da qui deriva la convenienza massima per chi non sostiene praticamente neanche un costo per la propria attività, magari perché ospitato nello studio del proprio committente o perché svolge la propria attività completamente da solo, senza l’ausilio di collaboratori.

Altri vantaggi

Il vantaggio per questo particolare regime agevolato non è solamente economico.

Tra questi i principali sono:

  • Esonero dallo spesometro (ora abolito con la fatturazione elettronica anche per i regimi ordinari);
  • Esonero dalla tenuta della contabilità. Basta infatti conservare in ordine le fatture presso la propria sede legale;
  • Non è sostituto d’imposta o sostituito. Questo implica che nelle proprie fatture non sarà applicata ritenuta d’acconto e non è neanche tenuto a trattenerla su una fattura passiva per poi versarla con f24 il mese successivo.
  • Esonero da liquidazione e dichiarazione iva, oltre alle comunicazioni trimestrali, abolite sempre dal 2019 con la fatturazione elettronica (in quanto non mette l’iva in fattura).

Di conseguenza è molto più facile la gestione della contabilità di un forfettario, il che implica un risparmio anche per la propria gestione.

Vediamo ora chi può accedere e chi rimane escluso

Rispetto al 2018, sono cambiate diverse cose oltre al limite dei ricavi innalzato a 65.000 €.

Sono stati aboliti precedenti limiti come quello dei 5.000 € per lavoro subordinato, di 20.000 € per acquisto di beni strumentali o di 30.000 € di redditi conseguiti nell’anno precedente come lavoratore dipendente.

Ora sono altri i limiti a cui si deve prestare attenzione.

Tra questi c’è ad esempio quello di non poter esercitare in maniera prevalente attività per il precedente datore di lavoro degli ultimi 2 anni o per soggetti ad esso collegati.

Il legislatore ha voluto con questo precetto, limitare il comportamento di certi datori di lavoro che per risparmiare gli oneri e i vincoli del lavoro dipendente avrebbero potuto licenziare, imponendo al dipendente di aprirsi la partita iva con il regime forfettario.

Un’altra causa di esclusione è quella di essere soci di srl che esercitano attività correlata alla propria.

Infine l’altra principale causa di esclusione è per quei soggetti che hanno un regime di vantaggio iva o che già determinano il reddito in maniera forfettaria, come i venditori porta a porta.

Fatturazione elettronica nel regime forfettario

Un’ altra cosa che ha reso appetibile l’entrata nel regime forfettario è sicuramente l’esonero dall’obbligo di emissione della fattura in formato elettronico.

Molti contribuenti, spaventati dal nuovo onere informatico, hanno infatti deciso di cambiare regime solo per rimandare di un anno detto obbligo. Già, perché l’esonero sarà solo per il 2019. A partire dal 2020 tutti i soggetti saranno obbligati a trasmettere la fattura in formato elettronico al sistema d’interscambio per adeguarsi anche alla normativa europea.

Per questo 2019 però si potrà godere ancora dall’esonero dalla fatturazione elettronica e le fatture potranno essere emesse con la vecchia modalità.

Vediamo come.

Fatture nel regime forfettario

Come si emettono le fatture nel regime forfettario? Vediamo gli elementi da considerare.

Oltre ai soliti dati anagrafici sia propri che del proprio cliente, un forfettario deve inserire nella propria fattura:

  • Il compenso (al quale non va applicata l’iva);
  • L’eventuale cassa professionale (4% per commercialisti, avvocati, architetti ecc.) o addebito del 4% a titolo di ritenuta inps
  • La marca a bollo di 2 euro a carico del cliente per prestazioni sopra i 78 euro. (Ricordiamo che la marca va applicata ogni qual volta in una fattura si superano i 78 euro non soggetti a iva, come nel caso del forfettario).
  • Il netto a pagare;
  • Infine, da non sottovalutare, le descrizioni che indicano il proprio regime di appartenenza che si sostanziano in queste 2 frasi:
–           Operazione in franchigia da IVA ai sensi dell’articolo 1 commi da 54 a 89 della Legge 190 del 23 dicembre 2014 – Regime forfetario
  • Il compenso non è soggetto a ritenute IRPEF ai sensi dell’articolo 1, comma 67 della stessa legge 190 del 23 dicembre 2014.

Cristiano Ronaldo alla Juventus: il tappeto rosso del fisco italiano

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Il passaggio di Cristiano Ronaldo alla Juventus è l’operazione di calciomercato più significativa della storia del calcio italiano. Non è un discorso legato solo ai 5 palloni d’oro e ai 27 titoli vinti dal fenomeno portoghese. Il discorso è un po’ più ampio e riguarda tutte le cifre dell’operazione che ha portato al trasferimento di Cristiano Ronaldo dal Real Madrid.

Vediamo un po’ di numeri

Il trasferimento di CR7 in bianconero ha comportato un esborso della squadra torinese di circa 112 milioni di euro tra cartellino e commissioni. Il giocatore invece guadagnerà 30 milioni di euro netti per 4 anni, cifra che si deve raddoppiare se si vuole vedere il peso effettivo sul bilancio della società. Per la Juventus dunque, l’operazione Cristiano Ronaldo, è un’operazione che costa circa 60 milioni di euro l’anno solo di ingaggio (240 in 4 anni).

Le somme percepite dalla Juventus, non sono però le uniche entrate del campione portoghese.

I guadagni di Cristiano Ronaldo al di fuori del calcio giocato

Cristiano Ronaldo , oltre a essere uno degli sportivi più forti della storia, ha un grande successo anche dal punto di vista del marketing. Grazie ai centinaia di milioni di followers sui vari social network (su Instagram è la persona più seguita al mondo con circa 134 milioni di seguaci), CR7 riesce ad avere dagli sponsor e dalle operazioni di marketing cifre ancora più alte degli stipendi già astronomici percepiti dalle squadre.

Attualmente, solo grazie alla Nike, Ronaldo incassa 30 milioni di euro annui. Secondo Forbes, nel 2017 i ricavi complessivi del giocatore al di fuori del salario percepito dal Real Madrid ammonterebbero a 54 milioni di euro. Una cifra astronomica dietro la quale si nascondono innumerevoli cavilli e disposizioni in materia fiscale.

Flat Tax

Ma veniamo ora al tappeto rosso steso dal fisco italiano a Cristiano Ronaldo.

Per capire di cosa stiamo parlando, occorre fare un passo indietro e parlare della flat tax, una tassa introdotta dalla Legge di Bilancio 2017.

Cos’è la flat tax? È un regime fiscale opzionale, alternativo a quello tradizionale che consente il pagamento di 100.000 € a titolo d’imposta sostitutiva su tutti i redditi prodotti all’estero. L’adesione all’opzione esclude però il meccanismo del credito d’imposta per le tasse pagate all’estero.

A chi si applica? Si applica ai soggetti che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia dopo averla avuta all’estero per almeno 9 degli ultimi 10 anni.

Rientrano nella flat tax tutti i redditi prodotti all’estero. Restano invece esclusi:

  • le plusvalenze realizzate, nei primi cinque anni dal trasferimento della residenza in Italia, da cessione di partecipazioni qualificate in soggetti esteri;
  • I redditi prodotti in Paesi che il contribuente intende escludere;
  • Qualsiasi reddito prodotto in Italia.

Il caso Cristiano Ronaldo

Se da una parte lo stipendio che CR7 percepirà dalla Juventus, sarà soggetto all’ordinaria tassazione prevista dal sistema fiscale Italiano (e quindi per 30 milioni che riceverà Ronaldo, ce ne sono circa 30 che la Juventus verserà a titolo di tasse e contributi), i redditi prodotti all’estero dal giocatore tra sponsor, percentuali sulle vendite di prodotti che portano il suo nome ed altri che confluiscono nel calderone che nel 2017 ammontava a 54 milioni di euro, possono beneficiare della flat tax e dunque, in Italia, per quei redditi Ronaldo pagherà solamente 100.000 € di imposta.

Sarebbe sciocco pensare che questo aspetto non ha inciso sulla trattativa tra Juventus e Real Madrid considerando che il campione ex Sporting Lisbona e Manchester United risparmierebbe, se si applicasse il caso al periodo d’imposta 2017, più di 20 milioni di euro d’imposta in un anno.

Considerando che in Spagna Ronaldo è stato condannato a pagare 19 milioni di euro al Fisco spagnolo, oltre a 2 anni di reclusione, è certo che, in Italia, l’ex madridista ha trovato una situazione più confortevole dal punto di vista fiscale.

Dott. Marco Palano 16/07/2018

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