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Tasse - proroga - Modello 730 - Web Tax

Una vera e propria “tegola” iva sulle scuole guida

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Con la sentenza C-449/17 del 14 marzo 2019, la Corte di Giustizia UE ha interpretato la nozione di “insegnamento scolastico o universitario” in tema di esenzione Iva.

La normativa

In Italia questo aspetto è regolamentato dall’articolo 10, comma 1, numero 20, D.P.R. 633/1972, secondo cui sono esenti “Le prestazioni educative dell’infanzia e della gioventù e quelle didattiche di ogni genere, anche per la formazione, l’aggiornamento, la riqualificazione e riconversione professionale, rese da istituti o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni e da enti del Terzo settore di natura non commerciale, comprese le prestazioni relative all’alloggio, al vitto e alla fornitura di libri e materiali didattici, ancorché fornite da istituzioni, collegi o pensioni annessi, dipendenti o funzionalmente collegati, nonché le lezioni relative a materie scolastiche e universitarie impartite da insegnanti a titolo personale”.

Con la risoluzione 134/E/2005 l’Agenzia delle entrate includeva nell’ambito di esenzione, gli insegnamenti delle scuole guida in quanto le prestazioni didattiche avevano finalità simili a quelle erogate dagli organismi di diritto pubblico.

L’interpretazione dei giudici dell’Unione

La corte di giustizia ha invece stabilito con la sentenza sopra citata, che la “nozione di “insegnamento scolastico o universitario” ai fini del regime Iva, si riferisce, in generale, a un sistema integrato di trasmissione di conoscenze e di competenze avente ad oggetto un insieme ampio e diversificato di materie, nonché all’approfondimento e allo sviluppo di tali conoscenze e di tali competenze da parte degli allievi e degli studenti, di pari passo con la loro progressione e con la loro specializzazione in seno ai diversi livelli costitutivi del sistema stesso”.

Secondo la loro interpretazione, l’insegnamento ai fini dell’ottenimento della patente, non costituisce di per se trasmissione di conoscenze e di competenze aventi ad oggetto un insieme ampio e diversificato di materie, nonché al loro approfondimento e al loro sviluppo. Di conseguenza le scuole guida non possono beneficiare della deroga alla disposizione generale secondo cui l’iva si applica su ogni prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso da un soggetto passivo.

L’adeguamento dell’Agenzia delle Entrate

L’agenzia delle entrate, con la risoluzione 79/E/2019 si è adeguata alla sentenza europea prevedendo dunque l’assoggettabilità ad iva delle attività aventi ad oggetto i corsi di preparazione all’esame di guida, sia teorici che pratici.

La retroattività della disposizione

L’adeguamento non riguarda solo l’anno in corso, ma tutti gli anni accertabili ai fini Iva.

In base a ciò, le scuole guida dovrebbero versare all’erario l’imposta sul valore aggiunto delle operazioni oggetto del cambiamento avvenute dal 2014 ad oggi.

Cosa comporta questo? Oltre al versamento del tributo, le scuole guida dovranno trasmettere le dichiarazioni iva integrative dal 2014 ad oggi, senza l’applicazione di sanzioni.

Un duro colpo per la categoria

Se le cose non dovessero cambiare, i soggetti coinvolti dovrebbero versare migliaia di euro all’erario, cifre che non riuscirebbero mai a recuperare dai propri vecchi clienti con i quali avevano già pattuito un prezzo.

A mio giudizio si tratta di una decisione inconcepibile che porterebbe alla chiusura di centinaia, se non migliaia di attività in tutta Italia.

Tra gli aggravi che questa disposizione comporterebbe, non c’è infatti solamente il versamento dell’iva sulle operazioni effettuate, ma ce ne sono altri. Bisogna infatti mettere su un meccanismo di:

  • note di variazione in aumento;
  • dichiarazioni integrative di ogni anno;
  • ricalcolo della detraibilità derivante dal meccanismo del pro-rata.

Sono tutte attività che ovviamente comportano un costo per la prestazione del professionista che se ne dovrà occupare.

Una vera e propria “tegola” sulla categoria che si è già mossa per contrastare la disposizione, almeno per quanto riguarda il pregresso.

In media una scuola guida dovrebbe versare all’erario circa 100.000 €. Non serve un esperto del settore per capire che più della metà dovrebbero dichiarare fallimento, a prescindere dalla modalità di versamento e da un eventuale pagamento a rate.

Si rimane in attesa di ulteriori chiarimenti da parte del legislatore.

Dott. Marco palano 11/09/2019

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Definizione agevolata: rottamazione ter

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Domani 31 luglio, scade il pagamento relativo alla definizione agevolata, la c.d. rottamazione ter.

Soggetti interessati

Come molti sapranno, i termini per presentare la domanda di adesione erano stati allungati dal 30/04 al 31/07. Cos’ha comportato questo? Che il pagamento di domani scade solo ed esclusivamente per i contribuenti che hanno presentato domanda entro il 30 aprile. Per tutti gli altri, la prima rata sarà il 30/11/2019 e dovranno presentare domanda di adesione entro il 31 luglio.

Cartelle coinvolte

I carichi coinvolti in questa terza edizione della rottamazione sono quelli affidati all’agente della riscossione tra il 1 gennaio 2000 e il 31 dicembre 2017. Sono esclusi dunque tutti i ruoli affidati all’Agenzia entrate-riscossione a partire dal 1 gennaio 2018.

Secondo il sottoscritto, questo sistema penalizza quei soggetti, i cui carichi sebben di competenza remota, sono stati affidati solo nel 2018 all’agente della riscossione. Un sistema più coerente, sarebbe quello di poter includere nella rottamazione ter tutti i carichi di competenza 1.01.00-31.12.17 a prescindere dalla data di affidamento all’agente della riscossione.

Termini di pagamento e numero rate

A differenza delle precedenti versioni, in cui le rate potevano essere scelte da un minimo di 1 a un massimo di 5, nella nuova definizione agevolata si può dilazionare il pagamento fino a 18 rate. Di queste 18, solo le prime 2 scadono nel 2019, rispettivamente il 31 luglio e il 30 novembre, mentre tutte le altre sono spalmate nei successivi 4 anni per un totale di 4 rate annue, rispettivamente il 28/02, il 31/05, il 31/07 e il 30/11.

La maggior parte del debito è diluito nelle prime 2, il cui ammontare di ciascuna sarà pari al 10% del totale delle somme dovute.

C’è un’eccezione al numero massimo di rate.

Potevano aderire alla rottamazione ter, anche i soggetti decaduti dalla rottamazione bis, purché in regola con le rate scadute al 7 dicembre 2018. Successivamente è stata estesa la possibilità anche ai soggetti non in regola al 7 dicembre, prevedendo per questi ultimi un massimo di 10 rate.

Stesso discorso per i soggetti che erano in regola con la rottamazione bis che, per effetto della rottamazione ter, sono stati inclusi automaticamente nella nuova definizione agevolata, con suddivisone del debito residuo in 10 rate.

Effetti dell’adesione

L’adesione produce l’effetto di interrompere le procedure esecutive iniziate nei confronti dei contribuenti e bloccherà anche l’inizio di nuove procedure esecutive o cautelari.

Per poter aderire però è necessario rinunciare ad eventuali liti pendenti aventi ad oggetto i carichi che si vogliono rottamare.

Mancato pagamento

Che succede se si salta il pagamento di una rata?

Rispetto alle precedenti versioni, l’agenzia delle entrate si è ammorbidita dal punto di vista del ritardo.

Sarà infatti possibile pagare, senza decadere, entro il 5° giorno successivo alla scadenza.

La prima rata che ha scadenza 31 luglio, può infatti essere pagata senza conseguenze entro il 5 agosto.

Superato quel limite, si decade ufficialmente dalla rottamazione e le somme residue dovranno essere pagate con la maggiorazione delle sanzioni e gli interessi precedentemente rimossi.

Modalità di pagametno

Ricordiamo velocemente le modalità di pagamento messe a disposizione dall’agenzia delle entrate.

Il rav relativo alla scadenza si può pagare infatti:

  • collegandosi al sito www.agenziaentrateriscossione.gov.it e accedendo alla sezione “Servizi”;
  • tramite l’App Equiclick;
  • agli uffici postali e in banca;
  • tramite l’home banking del Suo istituto di credito o di Poste Italiane (se correntista);
  • agli sportelli automatici bancari e postali abilitati;
  • presso i tabaccai convenzionati con Banca 5 SpA;
  • presso i punti Sisal e Lottomatica;
  • presso gli sportelli dell’agenzia entrate-riscossione di cui può trovare l’elenco collegandosi al portale www.agenziaentrateriscossione.gov.it e accedendo alla sezione “Trova sportello”.

Come aderire (per i soggetti che intendono aderire sfruttando la riapertura dei termini)

L’adesione può essere fatta autonomamente con il canale telematico dell’agenzia entrate-riscossione, utilizzando le proprie credenziali INPS, Entratel, SPID o carta nazionale dei servizi.

In alternativa si può aderire presentando domanda allo sportello o rivolgendosi al proprio consulente di fiducia.

Dott. Marco Palano 30/07/2019

 

Rottamazione ter

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Il 30 aprile 2019 scade la possibilità di presentare la domanda di adesione alla rottamazione ter, la terza tranche di definizione agevolata prevista dopo la prima introdotta alla fine del 2016.

Questo tipo di istituto consente di estinguere debiti affidati all’agente della riscossione tra il 1 gennaio 2000 e il 31 dicembre 2017 pagando solamente il debito originario al netto di sanzioni e interessi.

Nel caso delle sanzioni per violazione del codice della strada, vengono cancellate solamente gli interessi e le maggiorazioni, restando invece integra la sanzione orginaria dovuta.

Cosa si paga? Oltre al tributo, il contribuente sarà tenuto a pagare l’aggio, le spese per procedure esecutive e le spese di notifica. A questi si aggiunge il tasso d’interesse per pagamento dilazionato, cosa che non c’è in caso di pagamento in un’unica rata.

Numero di rate

Il numero di rate è una delle decisioni fondamentali da prendere quando si aderisce alla rottamazione perchè, per importi consistenti, inciderà sul valore dei singoli pagamenti dovuti.

Ma in quante rate si può pagare?

Nella prima rottamazione si potevano pagare da 1 a 5 rate, scadenti in parte nell’anno della richiesta e in parte nell’anno successivo.

Con la rottamazione ter il legislatore ha voluto spalmare su più anni i pagamenti dovuti dai contribuenti in modo da venir incontro a quei soggetti che trovandosi in difficoltà economica più o meno conclamata, potevano aver difficoltà a pagare tutte le rate entro 1 anno e mezzo dalla domanda.

Le rate previste per quest’ultima ondata di definizione agevolata sono fino a un massimo di 18 così distribuite:

-2 rate pari al 10% dell’importo totale nel 2019 e più precisamente il 31 luglio e il 30 novembre.

-4 rate annuali fino al 2023 con scadenza 28/02, 31/05, 31/08, 30/11

Pagamenti in ritardo

Un altro cambiamento rispetto alle precedenti versioni introdotto dalla rottamazione ter è la tolleranza sui ritardi di pagamento.

Prima per decadere dalla rottamazione con conseguente re iscrizione degli importi a ruolo, avveniva anche in caso di ritardo di 1 giorno.

Ora al contribuente è data la possibilità di pagare con un ritardo di 5 giorni prima di perdere i benefici della rottamazione.

Non tutti i carichi sono però rottamabili.

Carichi rottamabili e non

Non sono rottamabili:

  • Recupero degli aiuti di Stato considerati illegittimi dall’Unione Europea;
  • Crediti derivanti da condanne pronunciate dalla Corte dei conti;
  • Multe, ammende e sanzioni pecuniarie dovute a seguito di provvedimenti e sentenze penali di condanna;
  • Sanzioni diverse da quelle irrogate per violazioni tributarie o per violazione degli obblighi relativi ai contributi e ai premi dovuti agli enti previdenziali.

Si può invece richiedere la definizione agevolata per:

  • Debiti per i quali non è mai stata chiesta una precedente Definizione agevolata;
  • Debiti per i quali si era già aderito alle precedenti edizioni delle “rottamazioni” (DL n. 193/2016 e DL n. 148/2017), e non si era provveduto al pagamento delle rate;
  • Debiti per i quali non è mai stata presentata domanda di Definizione e, per effetto di pagamenti già effettuati, risultano ancora dovute unicamente le somme a titolo di sanzioni e interessi di mora.

Anche qui si nota subito una differenza con le precedenti versioni. Con la rottamazione bis infatti non si potevano includere carichi precedentemente finiti nella prima rottamazione in seguito al mancato pagamento di una rata e conseguente decadimento. Questi ultimi addirittura ci finiscono dentro automaticamente, senza la necessità di presentare alcuna domanda.

L’unico requisito perché questo si verifichi, è una situazione di pagamento regolare al 7 dicembre delle rate di luglio, settembre e ottobre 2018.

Prospetto informativo.

L’agenzia delle entrate-riscossione ha introdotto un prospetto informativo scaricabile dalla propria area riservata con cui è possibile conoscere in anticipo rispetto alla ricezione della comunicazione delle somme dovute, quali carichi possono essere inclusi e quali no e per quali importi. In questo modo si può decidere anche in base alle proprie disponibilità economiche quali cartelle e quali singoli carichi includere nella richiesta di definizione agevolata.

L’area riservata si trova sul sito https://www.agenziaentrateriscossione.gov.it/it/cittadini/EstrattoConto/ dove bisogna entrare con le proprie credenziali Spid, Inps o Fisconline e andare nella sezione “definizione agevolata” posta sulla sinistra, all’interno della quale si può accedere al prospetto informativo.

Presentazione della domanda

Termini

La scadenza per presentare la domanda è il 30 aprile 2019. Entro il 30 giugno l’Agenzia delle entrate-riscossione è tenuta a inviare al contribuente la comunicazione delle somme dovute, un documento che certifica l’accoglimento dell’istanza e tutte le date in cui bisogna effettuare i versamenti.

Modalità

La richiesta può essere fatta attraverso 3 diversi canali:

  • Online in modalità “Fai da te”;
  • Attraverso lo sportello;
  • Attraverso la casella pec competenze in base al territorio, sia autonomamente che tramite un intermediario.

Conseguenze

La presentazione della domanda comporta numerosi vantaggi per il contribuente.

Oltre a versare una somma inferiore per via della decurtazione di sanzioni e interessi di mora, vengono interrotte tutte le procedure esecutive iniziate e non saranno avviate nuove procedure cautelari o esecutive.

Inoltre con la presentazione si sospendono i termini di prescrizione e decadenza dei carichi e si sospendono le rateizzazioni avviate precedentemente su carichi rientrati nella definizione agevolata.

Una cosa importante da considerare è che, un debito inserito in definizione agevolata, non potrà essere soggetto a una nuova rateizzazione in futuro.

Dott. Marco Palano 08/04/2019

Il Nuovo regime forfettario 2019: conviene o no?

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Uno degli argomenti sicuramente più caldi di questo 2019, per tutti i commercialisti d’Italia, oltre ovviamente alla fatturazione elettronica, è il calcolo della convenienza dell’applicazione del regime forfettario o meno per i propri clienti.

Con l’innalzamento del limite dei ricavi a 65.000 €, è aumentata nettamente la platea degli aventi diritto e, se si considera anche l’esonero dall’obbligo di emissione di fatture in formato elettronico, milioni di contribuenti stanno valutando se passare o meno al regime agevolato.

Ricordiamo brevemente in cosa consiste.

Cos’è il regime forfettario

Il regime forfettario è un regime di vantaggio nato con la legge 190 del 2014 che permette di determinare il reddito imponibile in maniera forfettaria e di applicare un’imposta sostitutiva del 15% (5% per i primi 5 anni di attività).

Il vantaggio è ovviamente un risparmio d’imposta, oltre che contributivo visto che prevede anche, se richiesta, una riduzione dei contributi previdenziali del 35%. Tale domanda va però fatta entro il 28 febbraio di ogni anno oppure non appena possibile in caso di apertura della partita iva oltre quella data.

Se la richiesta di sgravio contributivo era stata richiesta l’anno precedente invece, non bisogna fare niente in quanto la riduzione sarà automatica anche per l’anno in corso.

Il reddito imponibile

Nel regime ordinario

Nel regime ordinario il reddito imponibile è dato dalla differenza tra ricavi e costi opportunamente rettificati in base alla normativa fiscale che determina le percentuali forfettarie di deduzione.

A questi si levano gli oneri contributivi pagati nell’esercizio e si ottiene il reddito imponibile, sul quale si andranno poi ad applicare le aliquote di tassazione a scaglioni:

  • Il primo scaglione prevede una tassazione del 23% per redditi fino a 15.000 €;
  • Il secondo una tassazione del 27% per la parte da 15.001 € a 28.000 €;
  • Il terzo invece prevede un’aliquota del 38% per redditi tra 28.001 € e 55.000 €;
  • Il quarto 41% per redditi tra 55.001 € e 75.000 €;
  • Infine l’ultimo scaglione prevede un’imposta del 43% per la parte oltre i 75.000 €.

A questi vanno aggiunte le addizionali comunali e regionali ed eventualmente l’Irap, se si svolge la propria attività dotandosi di una vera e propria organizzazione.

Nel regime forfettario

Nel regime forfettario, come detto in precedenza, c’è un’imposta sostitutiva del 15% o del 5% a seconda che si tratti di nuova attività o meno, che va ad assorbire tutte le altre imposte.

L’unica cosa che non comprende sono i contributi previdenziali.

Come si calcola la convenienza

Il regime forfettario è sicuramente conveniente per chi ha pochi o zero costi. Questo perché i costi non si possono dedurre analiticamente. La deduzione avviene in maniera forfettaria con aliquote che variano a seconda del tipo di attività svolta, a differenza della soglia dei ricavi di 65.000 che è uguale per tutti a differenza del 2018 in cui variava da attività ad attività come i coefficienti di deduzione. Per i professionisti ad esempio è pari al 78%. Cosa vuol dire?

Vuol dire che se ricavi 50.000 €, puoi dedurti forfettariamente 11.000 € (il 22%).

Se quindi pensi di avere costi inferiori, uguali, o di poco superiori, è chiaramente conveniente applicare il regime forfettario.

Il discorso cambia se è un tipo di attività che prevede di sostenere grandi costi per conseguire i ricavi, come ad esempio 35.000 €. In quel caso non conviene aderire al regime forfettario.

Quali costi ti puoi dedurre nel regime forfettario?

La risposta è semplice: nessuno. L’unica spese che può abbassare il reddito imponibile è quella relativa agli oneri contributivi sostenuti nell’anno. Non ci si può dedurre neanche le spese mediche o quelle per ristrutturazioni per cui era riconosciuto un credito d’imposta. Da qui deriva la convenienza massima per chi non sostiene praticamente neanche un costo per la propria attività, magari perché ospitato nello studio del proprio committente o perché svolge la propria attività completamente da solo, senza l’ausilio di collaboratori.

Altri vantaggi

Il vantaggio per questo particolare regime agevolato non è solamente economico.

Tra questi i principali sono:

  • Esonero dallo spesometro (ora abolito con la fatturazione elettronica anche per i regimi ordinari);
  • Esonero dalla tenuta della contabilità. Basta infatti conservare in ordine le fatture presso la propria sede legale;
  • Non è sostituto d’imposta o sostituito. Questo implica che nelle proprie fatture non sarà applicata ritenuta d’acconto e non è neanche tenuto a trattenerla su una fattura passiva per poi versarla con f24 il mese successivo.
  • Esonero da liquidazione e dichiarazione iva, oltre alle comunicazioni trimestrali, abolite sempre dal 2019 con la fatturazione elettronica (in quanto non mette l’iva in fattura).

Di conseguenza è molto più facile la gestione della contabilità di un forfettario, il che implica un risparmio anche per la propria gestione.

Vediamo ora chi può accedere e chi rimane escluso

Rispetto al 2018, sono cambiate diverse cose oltre al limite dei ricavi innalzato a 65.000 €.

Sono stati aboliti precedenti limiti come quello dei 5.000 € per lavoro subordinato, di 20.000 € per acquisto di beni strumentali o di 30.000 € di redditi conseguiti nell’anno precedente come lavoratore dipendente.

Ora sono altri i limiti a cui si deve prestare attenzione.

Tra questi c’è ad esempio quello di non poter esercitare in maniera prevalente attività per il precedente datore di lavoro degli ultimi 2 anni o per soggetti ad esso collegati.

Il legislatore ha voluto con questo precetto, limitare il comportamento di certi datori di lavoro che per risparmiare gli oneri e i vincoli del lavoro dipendente avrebbero potuto licenziare, imponendo al dipendente di aprirsi la partita iva con il regime forfettario.

Un’altra causa di esclusione è quella di essere soci di srl che esercitano attività correlata alla propria.

Infine l’altra principale causa di esclusione è per quei soggetti che hanno un regime di vantaggio iva o che già determinano il reddito in maniera forfettaria, come i venditori porta a porta.

Fatturazione elettronica nel regime forfettario

Un’ altra cosa che ha reso appetibile l’entrata nel regime forfettario è sicuramente l’esonero dall’obbligo di emissione della fattura in formato elettronico.

Molti contribuenti, spaventati dal nuovo onere informatico, hanno infatti deciso di cambiare regime solo per rimandare di un anno detto obbligo. Già, perché l’esonero sarà solo per il 2019. A partire dal 2020 tutti i soggetti saranno obbligati a trasmettere la fattura in formato elettronico al sistema d’interscambio per adeguarsi anche alla normativa europea.

Per questo 2019 però si potrà godere ancora dall’esonero dalla fatturazione elettronica e le fatture potranno essere emesse con la vecchia modalità.

Vediamo come.

Fatture nel regime forfettario

Come si emettono le fatture nel regime forfettario? Vediamo gli elementi da considerare.

Oltre ai soliti dati anagrafici sia propri che del proprio cliente, un forfettario deve inserire nella propria fattura:

  • Il compenso (al quale non va applicata l’iva);
  • L’eventuale cassa professionale (4% per commercialisti, avvocati, architetti ecc.) o addebito del 4% a titolo di ritenuta inps
  • La marca a bollo di 2 euro a carico del cliente per prestazioni sopra i 78 euro. (Ricordiamo che la marca va applicata ogni qual volta in una fattura si superano i 78 euro non soggetti a iva, come nel caso del forfettario).
  • Il netto a pagare;
  • Infine, da non sottovalutare, le descrizioni che indicano il proprio regime di appartenenza che si sostanziano in queste 2 frasi:
–           Operazione in franchigia da IVA ai sensi dell’articolo 1 commi da 54 a 89 della Legge 190 del 23 dicembre 2014 – Regime forfetario
  • Il compenso non è soggetto a ritenute IRPEF ai sensi dell’articolo 1, comma 67 della stessa legge 190 del 23 dicembre 2014.

Assunzioni: tutti gli incentivi del 2018

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Un problema che tutti gli imprenditori si pongono prima di dar vita a una società, è quello che riguarda il costo del personale e, di conseguenza, i migliori contratti di lavoro da mettere in atto per ottenere una buona performance con un occhio sempre puntato al Bilancio.

Con il tasso di disoccupazione ancora superiore al 10% il legislatore è alla continua ricerca di nuovi metodi per incentivare le assunzioni. Sono diverse le disposizioni a riguardo della legge di Bilancio 2018. Alcune integrano o allungano le tempistiche di precetti già esistenti, altre costituiscono delle novità nel mercato del lavoro.

Proviamo a descrivere in modo semplice i principali incentivi legati alle assunzioni nel 2018.

Bonus assunzione giovani under 35

È un bonus che lo stato concede sotto forma di sgravio contributivo nella misura del 50% dei contributi per 3 anni, con il tetto massimo utilizzabile di 3000 euro annui. Per poterne usufruire bisogna assumere a tempo indeterminato un lavoratore che non abbia compiuto il trentacinquesimo anno di età (trentesimo dal 2019) e che non abbia avuto precedentemente un contratto di lavoro a tempo indeterminato.

Sono esclusi, ai fini dell’ottenimento del bonus, i contratti di lavoro intermittente o a chiamata.

C’è un limite negativo anche per i datori di lavoro. Non possono beneficiare dello sgravio i datori di lavoro che hanno effettuato un licenziamento, singolo o collettivo, nei 6 mesi precedenti.

Oltre ai contratti a tempo indeterminato, sono validi anche:

  • Trasformazione a tempo indeterminato di contratti a termine;
  • Proseguimento di apprendistato professionalizzante a tempo indeterminato purché stabilito nel 2018 e il lavoratore sia under 30.

Incentivo Occupazione NEET del Programma Operativo Nazionale “Iniziativa Occupazione Giovani”

Trattato dalla Circolare n.48 del 19/03/2018 dell’INPS, questo tipo di incentivo riguarda l’assunzione di giovani dai 16 ai 29 anni di età che non siano inseriti in un percorso di studio o formazione, i cosiddetti NEET.

Possono beneficiarne i datori di lavoro che, senza essere tenuti, assumo giovani aderenti al Programma “Garanzia Giovani”.

Il beneficio spetta sia in caso di rapporti a tempo pieno che part time e riguarda le assunzioni:

  • A tempo indeterminato, anche a scopo di somministrazione;
  • Di apprendistato professionalizzante.

In caso di trasformazione del contratto da tempo determinato a tempo indeterminato, il beneficio non spetta in quanto manca il requisito del NEET.

In che misura è prevista l’agevolazione.

L’agevolazione prevede uno sgravio del 100% dei contributi per il primo anno e del 50% per i successivi 2 fino a un massimo di 8060 € all’anno, valore che va parametrato nel caso di mensilità ridotte (4030 € per un’assunzione del 1/07/2018). Stesso discorso vale in caso di assunzione part time.

Bonus apprendisti

Per chi assume giovani apprendisti che hanno effettuato almeno il 30% delle ore di alternanza scuola-lavoro entro 6 mesi dalla fine del loro percorso di studi. Vale anche per gli under 35. In questo caso l’agevolazione spetta in misura del 100% dei contributi per 3 anni fino a un massimale di 3000 € annui.

Bonus donne disoccupate

Il bonus donne disoccupate spetta in misura del 50% degli oneri contributivi e si utilizza per l’assunzione di donne disoccupate da oltre 24 mesi. La durata del benefico è pari a un anno in caso di assunzione a tempo determinato o 1 anno e mezzo in caso di assunzione a tempo indeterminato.

Bonus over 50

È molto simile a quello delle donne disoccupate, con la differenza che riguarda gli over 50 disoccupati da almeno 12 mesi.

Bonus Lavoratori in CIGS e Naspi

È un incentivo per l’assunzione di lavoratori in Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria da almeno 3 mesi.

In cosa consiste? Dal punto di vista contributivo è simile al bonus apprendisti. Infatti i datori di lavoro possono beneficiare di una decontribuzione al 100% per 12 mesi. C’è inoltre un ulteriore benefico economico pari al 50% dell’indennità di mobilità spettante al lavoratore per 9, 21 p 33 mesi a seconda che si tratti di lavoratori under 50, over 50 o over 50 residenti al sud o nelle aree ad alto tasso di disoccupazione.

Per i lavoratori che percepiscono la Naspi invece, il beneficio economico di cui si può usufruire in caso di assunzione a tempo pieno a tempo indeterminato, è pari al 20% dell’indennità mensile spettante al lavoratore di cui quest’ultimo non ha ancora usufruito.

Bonus giovani genitori

È il bonus spettante per l’assunzione di under 35 con figli minori. Il beneficio spetta sia in caso di figli legittimi che in caso di figli adottivi o affidati.

In che misura spetta? Per l’assunzione a tempo indeterminato o per la trasformazione da tempo determinato a tempo indeterminato, spetta un bonus assunzione pari a 5000 € fino a un massimo di 5 dipendenti per azienda.

Ovviamente i lavoratori in questione devono essere precari o disoccupati e iscritti nell’apposito registro creato dall’INPS.

Bonus messi a disposizione dalle regioni.

L’ultimo bonus di cui andremo a parlare è quello messo a disposizione dalle varie regioni.

Analizziamo quello riguardante la regione Lazio.

È un tipo di bonus che si applica a tutte le imprese che hanno assunto a partire dal 1 gennaio 2017 ed entro il 2018, soggetti disoccupati, in mobilità ordinaria o in deroga e gli immigrati regolari. La discriminante è la residenza nella regione Lazio e l’implementazione di una delle seguenti tipologie contrattuali:

  • tempo indeterminato full time, compro il contratto di apprendistato (in questo caso il bonus sarà fino a 8000 euro);
  • tempo determinato full time superiore o uguale a 12 mesi (bonus fino a 5000 euro);
  • tempo determinato inferiore a 12 mesi (bonus fino a 2500 euro).

 

Dott. Marco Palano 04/09/2018

Cristiano Ronaldo alla Juventus: il tappeto rosso del fisco italiano

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Il passaggio di Cristiano Ronaldo alla Juventus è l’operazione di calciomercato più significativa della storia del calcio italiano. Non è un discorso legato solo ai 5 palloni d’oro e ai 27 titoli vinti dal fenomeno portoghese. Il discorso è un po’ più ampio e riguarda tutte le cifre dell’operazione che ha portato al trasferimento di Cristiano Ronaldo dal Real Madrid.

Vediamo un po’ di numeri

Il trasferimento di CR7 in bianconero ha comportato un esborso della squadra torinese di circa 112 milioni di euro tra cartellino e commissioni. Il giocatore invece guadagnerà 30 milioni di euro netti per 4 anni, cifra che si deve raddoppiare se si vuole vedere il peso effettivo sul bilancio della società. Per la Juventus dunque, l’operazione Cristiano Ronaldo, è un’operazione che costa circa 60 milioni di euro l’anno solo di ingaggio (240 in 4 anni).

Le somme percepite dalla Juventus, non sono però le uniche entrate del campione portoghese.

I guadagni di Cristiano Ronaldo al di fuori del calcio giocato

Cristiano Ronaldo , oltre a essere uno degli sportivi più forti della storia, ha un grande successo anche dal punto di vista del marketing. Grazie ai centinaia di milioni di followers sui vari social network (su Instagram è la persona più seguita al mondo con circa 134 milioni di seguaci), CR7 riesce ad avere dagli sponsor e dalle operazioni di marketing cifre ancora più alte degli stipendi già astronomici percepiti dalle squadre.

Attualmente, solo grazie alla Nike, Ronaldo incassa 30 milioni di euro annui. Secondo Forbes, nel 2017 i ricavi complessivi del giocatore al di fuori del salario percepito dal Real Madrid ammonterebbero a 54 milioni di euro. Una cifra astronomica dietro la quale si nascondono innumerevoli cavilli e disposizioni in materia fiscale.

Flat Tax

Ma veniamo ora al tappeto rosso steso dal fisco italiano a Cristiano Ronaldo.

Per capire di cosa stiamo parlando, occorre fare un passo indietro e parlare della flat tax, una tassa introdotta dalla Legge di Bilancio 2017.

Cos’è la flat tax? È un regime fiscale opzionale, alternativo a quello tradizionale che consente il pagamento di 100.000 € a titolo d’imposta sostitutiva su tutti i redditi prodotti all’estero. L’adesione all’opzione esclude però il meccanismo del credito d’imposta per le tasse pagate all’estero.

A chi si applica? Si applica ai soggetti che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia dopo averla avuta all’estero per almeno 9 degli ultimi 10 anni.

Rientrano nella flat tax tutti i redditi prodotti all’estero. Restano invece esclusi:

  • le plusvalenze realizzate, nei primi cinque anni dal trasferimento della residenza in Italia, da cessione di partecipazioni qualificate in soggetti esteri;
  • I redditi prodotti in Paesi che il contribuente intende escludere;
  • Qualsiasi reddito prodotto in Italia.

Il caso Cristiano Ronaldo

Se da una parte lo stipendio che CR7 percepirà dalla Juventus, sarà soggetto all’ordinaria tassazione prevista dal sistema fiscale Italiano (e quindi per 30 milioni che riceverà Ronaldo, ce ne sono circa 30 che la Juventus verserà a titolo di tasse e contributi), i redditi prodotti all’estero dal giocatore tra sponsor, percentuali sulle vendite di prodotti che portano il suo nome ed altri che confluiscono nel calderone che nel 2017 ammontava a 54 milioni di euro, possono beneficiare della flat tax e dunque, in Italia, per quei redditi Ronaldo pagherà solamente 100.000 € di imposta.

Sarebbe sciocco pensare che questo aspetto non ha inciso sulla trattativa tra Juventus e Real Madrid considerando che il campione ex Sporting Lisbona e Manchester United risparmierebbe, se si applicasse il caso al periodo d’imposta 2017, più di 20 milioni di euro d’imposta in un anno.

Considerando che in Spagna Ronaldo è stato condannato a pagare 19 milioni di euro al Fisco spagnolo, oltre a 2 anni di reclusione, è certo che, in Italia, l’ex madridista ha trovato una situazione più confortevole dal punto di vista fiscale.

Dott. Marco Palano 16/07/2018

Decreto Dignità: abolito lo split payment per i professionisti

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Sono tante le novità previste dal Decreto Dignità approvato lo scorso 2 luglio dal Consiglio dei Ministri. Tra queste, una delle più importanti che riguarda i professionisti è quella dell’abolizione dello split payment. A partire dalla sua entrata in vigore, i professionisti potranno fatturare le loro prestazioni professionali rese nei confronti della Pubblica Amministrazione con modalità ordinarie.

Cos’è lo split payment

Introdotto dalla Legge di Stabilità 2015, lo split payment è un meccanismo attraverso il quale le Pubbliche Amministrazioni che acquistano beni o servizi, qualora non siano soggetti passivi IVA, versano direttamente all’Erario l’imposta sul valore aggiunto addebitata dai propri fornitori, pagando dunque a questi ultimi il corrispettivo al netto dell’IVA.

Tale meccanismo è stato introdotto per contrastare la forte evasione fiscale in ambito iva originata da soggetti che incassano l’IVA sulle fatture emesse, ma non la versano all’Erario nelle rispettive scadenze.

A chi si applica?

Si applica a:

  • Stato;
  • Organi statali dotati di personalità giuridica;
  • Enti pubblici territoriali;
  • Camera di Commercio;
  • Istituti Universitari;
  • Asl;
  • Enti di previdenza;
  • Enti di pubblica assistenza e beneficienza.

Abolizione dello split payment per i professionisti

Come previsto dall’art.11 del Decreto Dignità, lo split payment per i professionisti fa un ritorno alle origini.

Inizialmente era infatti prevista l’esclusione dei professionisti, ma la manovra correttiva 2017 (DL 50/2017) ha esteso l’obbligo a tutti i soggetti operanti con la Pubblica Amministrazione. Con il Decreto Dignità si torna dunque alla precedente disciplina.

I soggetti sottoposti a split payment

I soggetti sottoposti a split payment che ricevono le fatture dai professionisti, saranno dunque tenuti ad operare la ritenuta alla fonte e liquidare l’Iva a tali soggetti, invece di versarla direttamente all’Erario.

Dott. Marco Palano 10/07/2018

Obbligo di fatturazione elettronica per la cessione di carburanti: si va verso il rinvio

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In arrivo la proroga dell’obbligo di fatturazione elettronica per la cessione di carburanti. La legge di Bilancio 2018 aveva previsto l’entrata in vigore per il 1° luglio 2018.  Il Ministro dell’Economia e delle Finanze Tria, è invece a lavoro per inserire nel decreto Dignità, atteso in settimana al Consiglio dei Ministri, il rinvio al 1° gennaio 2019.

Il primo gennaio sembra infatti una data più ragionevole per rendere obbligatoria una cosa per cui il paese si è dimostrato non ancora pronto. Ne è la prova schiacciante lo sciopero dei gestori di impianti di distribuzione di carburanti, previsto per ieri sera e annullato in seguito alla promessa di un rinvio dell’onere da parte del Ministro per lo Sviluppo Economico Luigi Di Maio. Perché la fatturazione elettronica deve essere un’opportunità per il paese e uno strumento di crescita e non un elemento destabilizzante.

In attesa della proroga

SI rimane dunque in attesa della proroga per capire anche in che modo avverrà. Ancora non è chiaro infatti se ci sarà una proroga totale al 1 gennaio 2019 o se si procederà su binari paralleli. Nel primo caso la data di decorrenza dell’obbligo di fatturazione elettronica per tutto l’universo delle partite iva sarà appunto il 1° gennaio. Nel secondo, a partire dal 1 luglio 2018 potrà essere prevista sia la fattura elettronica, sia la classica scheda carburante, che sarà abolita definitivamente il 1 gennaio.

Dott. Marco Palano 26/06/2018

codici tributo - modello di pagamento unificato - 730/2017 - imposte sui redditi - rottamazione - modello rli

Ires: saldo 2017 e acconto 2018

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Si avvicina, per i soggetti Ires, la scadenza del versamento del saldo dell’imposta sui redditi del 2017 e dell’acconto per il 2018.

Scadenza

I versamenti vanno effettuati entro l’ultimo giorno del sesto mese successivo alla chiusura del periodo d’imposta. Nella maggior parte dei casi la chiusura del periodo d’imposta corrisponde al 31/12, quindi i versamenti vanno effettuati entro il 30 giugno. Per il 2018, il termine è allungato al 2 luglio visto che il 30 giugno cade di sabato.

Fino alla Legge di Bilancio 2016 invece, il pagamento era previsto per il 16 giugno, ma il Legislatore ha voluto concedere più tempo ai contribuenti viste le numerose scadenze di quel periodo (iva, ritenute, Imu e Tasi ecc.)

Pagamento entro 30 giorni con maggiorazione dello 0,4%

È concessa inoltre la facoltà di aderire al versamento entro 30 giorni con la maggiorazione dello 0,4%. La scadenza per tali soggetti corrisponderebbe al 1 agosto che, rappresentando l’inizio del periodo feriale, rimanderebbe ulteriormente la scadenza al 20 agosto.

Soggetti che approvano il Bilancio oltre i 4 mesi dalla chiusura

Le scadenze sopra citate, riguardano i soggetti che approvano il bilancio entro 4 mesi dalla chiusura dell’esercizio. Stessa regola vale anche se viene approvato in seconda convocazione oltre i 4 mesi. Diverse sono invece le regole per quei soggetti che approvano il Bilancio oltre i 4 mesi dalla chiusura dell’esercizio in base a particolari disposizioni di legge.

In ogni caso l’assemblea per l’approvazione va convocata in prima convocazione entro e non oltre 180 giorni dalla chiusura (29 giugno).

L’art. 2364 del codice civile prevede 2 ipotesi:

  • società tenute alla redazione del bilancio consolidato;
  • presenza di particolari esigenze connesse con la struttura e l’oggetto della società; in quest’ultimo caso, il maggior termine deve essere previsto dalla statuto della società.

Come detto in precedenza, la scadenza del 29 giugno riguarda la prima convocazione dell’assemblea. Si deduce che quindi il bilancio può essere approvato anche successivamente in seconda convocazione qualora non fosse possibile farlo in prima.

Possibilità di rateizzare

È prevista dall’ordinamento la facoltà per i contribuenti di rateizzare il debito fino a un massimo di 6 rate.

In questo caso però non è concesso il pagamento tardivo con maggiorazione dello 0,4 %.

Le scadenze dei pagamenti cadono in questa fattispecie il:

  • 02/07/2018;
  • 16/07/2018
  • 20/08/2018
  • 17/09/2018
  • 16/10/2018
  • 16/11/2018

Secondo acconto Ires

Il secondo acconto per il 2018 va invece versato tassativamente entro il 30/11/2018 in un’unica soluzione, senza possibilità di rateizzare. Se l’importo è inferiore a 257,52 euro, si può versare interamente nella scadenza del 30/11, lasciando da pagare al 30/06 solo il saldo per il 2017.

Modalità di pagamento

Il pagamento delle imposte avviene tramite f24. Nel compilarlo bisogna indicare:

  • Il codice tributo 2003;
  • L’anno 2017
  • La data 30/06/2018

Dott. Marco Palano 14/06/2018

Riduzione base imponibile per il calcolo di IMU e TASI

Acconto Imu e Tasi in scadenza il 18 giugno

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Manca meno di una settimana alla scadenza del pagamento del primo acconto di Imu e Tasi prevista per il 18 giugno. Approfittiamo per ricordare chi sono i soggetti tenuti al pagamento, il calcolo delle somme dovute e le modalità di pagamento.

Chi deve pagare

Sono tenuti al pagamento i proprietari e i titolari di diritti reali sugli immobili ad esclusione della prima casa. Quest’ultima infatti non rileva sia ai fini Imu che ai fini Tasi, con esclusione di quelle rientranti nelle categorie A1, A/8 e A/9. Anche gli affittuari sono tenuti al pagamento delle imposte, se non utilizzano l’immobile come prima casa.

Calcolo

La base per il calcolo resta invariata: il punto di partenza è la rendita catastale rivalutata del 5%, a cui si applica il coefficiente in base alla tipologia dell’immobile. In questo modo si ottiene l’imponibile su cui si applica aliquota fissata dal rispettivo comune di appartenenza.

Mentre l’Imu è sempre a carico del proprietario, la Tasi è anche a carico dell’inquilino con una proporzione che va dal 10 al 30%.

Modalità di pagamento

I contribuenti possono scegliere di pagare il primo acconto entro il 18 giugno o l0’intero importo in un’unica soluzione sempre con la stessa scadenza.

A differenza della dichiarazione dei redditi, non esiste una precompilata per quanto riguarda Imu e tasi quindi il contribuente dovrà provvedere al calcolo autonomamente o servendosi di un professionista.

Il pagamento può essere eseguito mediante bollettino postale o F24.

Riduzioni di pagamento

La Legge di Bilancio 2016 ha concesso uno sconto del 50% sulle imposte riguardanti immobili dati in comodato gratuito a genitori o figli. Per ottenere tale sconto è necessaria la presenza di un contratto registrato e il proprietario deve essere residente nello stesso comune del possesso e avere massimo un altro immobile in Italia. È previsto uno sconto anche per chi affitta, con canone concordato, l’immobile a soggetti che lo utilizzano come prima casa. La riduzione in questo caso è del 25% sia sull’Imu che sulla Tasi.

Dott. Marco Palano 12/06/2018

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