
Con la sentenza C-449/17 del 14 marzo 2019, la Corte di Giustizia UE ha interpretato la nozione di “insegnamento scolastico o universitario” in tema di esenzione Iva.
La normativa
In Italia questo aspetto è regolamentato dall’articolo 10, comma 1, numero 20, D.P.R. 633/1972, secondo cui sono esenti “Le prestazioni educative dell’infanzia e della gioventù e quelle didattiche di ogni genere, anche per la formazione, l’aggiornamento, la riqualificazione e riconversione professionale, rese da istituti o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni e da enti del Terzo settore di natura non commerciale, comprese le prestazioni relative all’alloggio, al vitto e alla fornitura di libri e materiali didattici, ancorché fornite da istituzioni, collegi o pensioni annessi, dipendenti o funzionalmente collegati, nonché le lezioni relative a materie scolastiche e universitarie impartite da insegnanti a titolo personale”.
Con la risoluzione 134/E/2005 l’Agenzia delle entrate includeva nell’ambito di esenzione, gli insegnamenti delle scuole guida in quanto le prestazioni didattiche avevano finalità simili a quelle erogate dagli organismi di diritto pubblico.
L’interpretazione dei giudici dell’Unione
La corte di giustizia ha invece stabilito con la sentenza sopra citata, che la “nozione di “insegnamento scolastico o universitario” ai fini del regime Iva, si riferisce, in generale, a un sistema integrato di trasmissione di conoscenze e di competenze avente ad oggetto un insieme ampio e diversificato di materie, nonché all’approfondimento e allo sviluppo di tali conoscenze e di tali competenze da parte degli allievi e degli studenti, di pari passo con la loro progressione e con la loro specializzazione in seno ai diversi livelli costitutivi del sistema stesso”.
Secondo la loro interpretazione, l’insegnamento ai fini dell’ottenimento della patente, non costituisce di per se trasmissione di conoscenze e di competenze aventi ad oggetto un insieme ampio e diversificato di materie, nonché al loro approfondimento e al loro sviluppo. Di conseguenza le scuole guida non possono beneficiare della deroga alla disposizione generale secondo cui l’iva si applica su ogni prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso da un soggetto passivo.
L’adeguamento dell’Agenzia delle Entrate
L’agenzia delle entrate, con la risoluzione 79/E/2019 si è adeguata alla sentenza europea prevedendo dunque l’assoggettabilità ad iva delle attività aventi ad oggetto i corsi di preparazione all’esame di guida, sia teorici che pratici.
La retroattività della disposizione
L’adeguamento non riguarda solo l’anno in corso, ma tutti gli anni accertabili ai fini Iva.
In base a ciò, le scuole guida dovrebbero versare all’erario l’imposta sul valore aggiunto delle operazioni oggetto del cambiamento avvenute dal 2014 ad oggi.
Cosa comporta questo? Oltre al versamento del tributo, le scuole guida dovranno trasmettere le dichiarazioni iva integrative dal 2014 ad oggi, senza l’applicazione di sanzioni.
Un duro colpo per la categoria
Se le cose non dovessero cambiare, i soggetti coinvolti dovrebbero versare migliaia di euro all’erario, cifre che non riuscirebbero mai a recuperare dai propri vecchi clienti con i quali avevano già pattuito un prezzo.
A mio giudizio si tratta di una decisione inconcepibile che porterebbe alla chiusura di centinaia, se non migliaia di attività in tutta Italia.
Tra gli aggravi che questa disposizione comporterebbe, non c’è infatti solamente il versamento dell’iva sulle operazioni effettuate, ma ce ne sono altri. Bisogna infatti mettere su un meccanismo di:
- note di variazione in aumento;
- dichiarazioni integrative di ogni anno;
- ricalcolo della detraibilità derivante dal meccanismo del pro-rata.
Sono tutte attività che ovviamente comportano un costo per la prestazione del professionista che se ne dovrà occupare.
Una vera e propria “tegola” sulla categoria che si è già mossa per contrastare la disposizione, almeno per quanto riguarda il pregresso.
In media una scuola guida dovrebbe versare all’erario circa 100.000 €. Non serve un esperto del settore per capire che più della metà dovrebbero dichiarare fallimento, a prescindere dalla modalità di versamento e da un eventuale pagamento a rate.
Si rimane in attesa di ulteriori chiarimenti da parte del legislatore.
Dott. Marco palano 11/09/2019